IL CAMBIAMENTO E IL LINGUAGGIO ANALOGICO IN PSICOTERAPIA

Nella comunicazione sono sottesi tre tipi di linguaggio fra loro strettamente correlati: quello verbale o segnico (linguaggio logico razionale), quello non verbale (atteggiamenti, posture, ecc.) e quello simbolico/ analogico (analogie, metafore, sogni, sintomi, ecc.).

E’ importante ricordare che è il linguaggio analogico quello che produce un cambiamento in quanto esso va a stimolare le dimensioni sottocorticali ipotalamiche del sentire e dell’immaginare. Mentre mantenere la comunicazione su un piano “segnico” (logico-razionale), pur aiutando a ‘capire’ il problema da un punto di vista cognitivo, non serve a risolverlo, nel senso che, appunto, non stimola il cambiamento.

Se infatti il linguaggio segnico fornisce soltanto dati oggettivi, utili ai fini della diagnosi del disturbo, ma insignificanti dal punto di vista del paziente come persona, il linguaggio simbolico parla del paziente come persona, ovvero esprime il suo modo SOGGETTIVO di essere al mondo fornendo un’immagine “olistica” di lui.

Ad esempio, il fatto che il paziente dica “soffro di asma allergica” piuttosto che “soffro di depressione” costituisce un aspetto segnico della sua comunicazione, ma non dà alcuna indicazione di come LUI si rapporti con la sua asma o con la sua depressione, ovvero cosa l’asma o la depressione significhi per lui.

Ecco che il terapeuta deve prestare molta attenzione anche al linguaggio analogico che il paziente usa, ossia alle immagini che evoca e alle metafore di cui si serve parlando del suo disturbo (es. “a volte è come se avessi un’incudine nel petto” parlando dell’asma, piuttosto che “a volte mi sento risucchiare da un buco nero” parlando della depressione).

Se l’ uso simbolico delle parole non avviene in modo spontaneo come spesso accade nel paziente soprattutto psicosomatico, il terapeuta può facilitarlo attraverso domande specifiche che favoriscano il passaggio dalla comunicazione segnica a quella simbolica aprendo la strada alle analogie.

Ecco qualche esempio:
– paziente “faccio fatica a dare un senso alla mia vita, a stare al mondo”
– terapeuta “in che modo si immaginerebbe di stare al mondo diversamente?”
oppure
– paziente: “mi manca l’aria”
– terapeuta: “che immagine le fa venire in mente questa mancanza d’aria?”
o ancora
– paziente: “a volte mi sembra di soffocare”
– terapeuta: “che cos’altro le provoca la stessa sensazione?”

Spostare la comunicazione sul piano analogico significa entrare nella dimensione simbolica in cui è calato il paziente e consentire anche al suo corpo di esprimersi.

E’ molto importante tenere presente che i SIMBOLI NON SEGUONO IL PRINCIPIO DI REALTA’, in quanto contengono in sé ambivalenze, contraddizioni e opposti. Essi, pertanto, vanno presi per ciò che sono e semplicemente “estratti”, fatti ESISTERE, senza l’ansia né da parte del terapeuta né da parte del paziente di attribuire subito loro un significato.

Se infatti il terapeuta propone subito un’interpretazione, magari sollecitato dal bisogno di controllo/ conoscenza di entrambi (paziente e terapeuta) il rischio è quello di riportare la comunicazione nuovamente su un piano segnico (logico razionale). Ad esempio “ritengo che l’incudine sul petto di cui mi sta parlando simboleggi una difficoltà di rapporto col mondo esterno” oppure “il sentirsi risucchiato da un buco nero indica il suo senso di impotenza e immobilità nei confronti della vita”. Per mantenere la comunicazione su un piano simbolico è più utile “allargare” il simbolo. Ad esempio “come la immagina questa incudine? di che colore è? quando c’è e quando non c’è? in questo momento è con noi? ecc.

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